Wilkins Jeffrey
Nazione: Stati Uniti d'America
 
 

Nell’estate del 1987, dai contatti con gli agenti statunitensi spuntò il nome che sembrava essere quello giusto per Rieti: Jeff Wilkins il quale, giocando a Udine nel 1977/78, si era permesso di infliggere una delle due sole sconfitte in regular season alla mitica Althea.
Questo pivot di 2.08 era passato inosservato in Italia per cui, un paio di stagioni dopo la sua partenza da Udine, destò una certa sorpresa non tanto il fatto che fosse stato ingaggiato nell’NBA dagli Utah Jazz di Adrian Dantley, quanto che ne fosse diventato uno dei pilastri della difesa. Infatti, tra il 1981 e il 1986, nelle sue migliori stagioni tra i professionisti, Wilkins aveva viaggiato a 12 punti e 7.5 rimbalzi di media. Chiusa la parentesi NBA Wilkins aveva disputato un paio di eccellenti stagioni ad Antibes, in Francia. Insomma, un giocatore da prendere ad occhi chiusi.
L’Italia del basket applaudì sbalordita questa scelta. Un incredulo Luca Chiabotti, attuale caporedattore alla Gazzetta dello Sport, all’epoca ancora a Superbasket, lodò il grandissimo fiuto di Rieti che da oltre un decennio non sbagliava mai un giocatore straniero. In una intervista precampionato il coach Dido Guerrieri dichiarò sicuro: «Il miglior straniero dell’A2 lo ha preso ancora una volta Rieti: è Jeff Wilkins». Rincuorati da questi attestati di stima, il mercato andò avanti.
Iniziato il precampionato, i tifosi affollavano il Palaloniano sperando di vedere in Wilkins il nuovo Sojourner. Ma Jeff trotterellava, giochicchiava, ogni tanto faceva vedere che sapeva giocare a basket ma niente di più. C’era qualche perplessità. Si pensava che, essendo un ex pro, sapesse lui come gestirsi. Ma le cose non miglioravano. Fu pregato Restani, che parlava anche un ottimo italiano, di cercare di capire cosa stesse succedendo. Ma per Jeff era tutto ok anche se i dubbi crescevano.
Per questo motivo la società meditò immediatamente di tagliarlo e fece venire in prova Donald Reese, non fosse altro che per sperare di scuotere l’abulico Wilkins. Ma il nuovo arrivato si rivelò più un’ala che un centro e fu subito scartato e mandato in prova a Firenze, che militava in A1. Per andare in Toscana Reese doveva partire in treno da Roma verso le 15. Il giocatore fu accompagnato con anticipo nella capitale da un dirigente che vi doveva sbrigare alcune altre faccende.
Terminate tutte le commissioni c’era ancora un po’ di tempo per mangiare. Siccome Reese voleva vedere qualcosa di Roma, fu accompagnato in pieno centro, a Piazza di Spagna. Passeggiando per via Condotti, Reese si fermò di fronte alla vetrina del gioielliere Bulgari e disse di voler acquistare un orologio. Seppur stupito l’accompagnatore fece entrare il giocatore nel negozio dove i due furono accolti da un elegantissimo commesso in giacca e cravatta. Dopo aver spiegato che Reese voleva vedere degli orologi, la coppia fu fatta accomodare in un accogliente salottino dove, pochi attimi dopo, si materializzò una guardia giurata che aprì una valigetta, dopo essersi liberato della catenella che gliela legava al polso: all’interno c’erano sei splendidi e costosissimi orologi d’oro. Mentre il commesso stava decantando i preziosi orologi della premiata ditta Bulgari, Reese alzò gli occhi e chiese: «Vorrei vedere dei Rolex». In meno di dieci secondi gli orologi erano già tornati nella valigetta mentre i due malcapitati clienti furono cortesemente ma decisamente invitati a uscire dal negozio.
Per la cronaca Reese firmò a Firenze e disputò una discreta stagione.
Ma torniamo a Wilkins. Durante i test di idoneità si scoprì che era asmatico. Malgrado ciò aveva però giocato più di 80 gare all’anno nell’NBA per cinque stagioni. Si provò comunque a rivoltarlo come un calzino per cercare di trovare una causa di inidoneità polmonare per tagliarlo e risparmiare i dollari di un contratto assai cospicuo. Per questo motivo furono fissati un paio di appuntamenti: il primo era stato programmato di mattina in una clinica romana dove esercitava un valentissimo pneumologo mentre nel pomeriggio bisognava andare al centro di medicina sportiva dell’Acqua Acetosa con il referto della prima visita per fare altri accertamenti.
Lasciato lo pneumologo c’era il problema di arrivare al pomeriggio per andare alla visita programmata all’Acqua Acetosa. Il solito volenteroso accompagnatore, per passare il tempo, decise allora di mostrare a Wilkins le bellezze della città eterna. E allora via a vedere il Colosseo, i Fori Imperiali, piazza San Pietro, Castel Sant’Angelo. Insomma, tutto quanto fosse raggiungibile girando in auto. Di fronte a ognuno dei secolari pezzi di storia l’improvvisato Cicerone si rivolgeva a Wilkins: «Jeff, guarda che meraviglia. Ti piace?». Ma lui rispondeva con dei distratti e poco interessati «Si, bello» ma niente di più.
Di monumento in monumento si fece l’ora di pranzo e allora, visto che da poco era stato inaugurato vicino a Piazza di Spagna il primo Mc Donald’s di Roma, l’accompagnatore decise di giocarsi l’ultima carta per scuotere il disinteresse del giocatore. Purtroppo, neanche ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, in quella tiepida giornata di settembre, Jeff fece una piega e pronunciò svogliatamente il solito: «Si, bello».
Ormai scoraggiato l’accompagnatore condusse Wilkins da Mc Donald’s sperando in cuor suo che un Big Mac gli andasse di traverso, non solo per come aveva disprezzato millenni di storia ma anche perché così sarebbero stati risolti i problemi tecnici della Sebastiani.
Per chi non ci avesse mai messo piede, occorre premettere che il Mc Donald’s di Piazza di Spagna era, ed è tutt’ora, arredato in maniera leggermente diversa dal solito: qualche finta colonna; qualche falso marmo qui e là; alcune fontanelle con l’acqua che scorre lungo un muro illuminate da qualche faretto; una finta antica pietra con l’incisione in caratteri romani della data d’inaugurazione del locale; una scala in porfido che porta al ristorante al piano superiore. Ebbene, non appena Wilkins mise piede dentro Mc Donald’s improvvisamente ebbe un sussulto ed esclamò: «Che meraviglia! Bellissimo! Mai visto niente del genere! Un grande business! Stupendo!». Inutile dire cosa pensò l’accompagnatore di Wilkins, della mattinata e dei chilometri sprecati e delle parole gettate al vento nel tentativo di descrivergli le meraviglie di Roma.
Kevin Restani rimase indignato di tutto ciò e disse che non tutti i suoi compatrioti sono così anche se qualcosa del genere capitò anche a lui quando accompagnò a Firenze il suo compagno di squadra a Forlì, l’ex Los Angeles Lakers, Mark Landsberger, il quale di fronte a Ponte Vecchio non seppe dire altro che: «Ma perché non lo ricostruiscono?».
Stesso comportamento anche per Lee Johnson quando, portato a visitare Pompei, stanco di guardare tutto quel vecchiume, chiese se li vicino ci fosse un luna park!
Quanto alle visite mediche: niente da fare, Wilkins era clinicamente a posto e poteva giocare. Lui stesso non comprendeva tutta questa apprensione attorno alla sua persona. Herb Rudoy, il suo agente, di passaggio a Rieti, ci parlò e poi rassicurò tutti: «No problem, Jeff aspetta solo l’inizio della stagione». Ma i dubbi continuavano a crescere.
Infatti Rieti perse le prime tre partite e puntualmente Wilkins era già la pietra dello scandalo: lento, abulico, improduttivo. Venne strigliato a dovere e lui, sentendo odore di taglio, sfoderò a Cremona un 10/10 al tiro per 32 punti complessivi, mettendosi in tasca il non trascendentale pivot avversario, Phil Zevenbergen, che con quel nome sembrava più un formaggio svizzero che un giocatore di basket, e trascinò la Sebastiani, ancora senza sponsor, alla vittoria per 67-85. Il peggio era passato? Neanche per idea.
Wilkins ripiombò nell’anonimato insieme a tutta la squadra. Dopo l’imbarazzante sconfitta in casa 77-97 contro la Sangiorgese dell’ex Wayne Sappleton, ci fu una riunione tra squadra e staff tecnico per capire cosa c’era che non andasse. A turno parlarono tutti. Arrivò anche il momento di Jeff che disse: «Ci sono due squadre in campo, qualcuno dovrà pur perdere!».
Finalmente era tutto chiaro: Wilkins era semplicemente cotto. Fisicamente e mentalmente. Era stato un gran giocatore, ma dopo tanti anni di onorabilissima carriera il declino, purtroppo per Rieti, era arrivato tutto in un colpo. A quel punto scattò la scure del taglio e così Wilkins risalì sulla sua BMW insieme al suo gattone siamese (13 kg!) di nome Ralph, e partì alla volta della Spagna, destinazione Tenerife, permettendo alla società di risparmiare i soldi del residuo del contratto. Al posto di Wilkins fu ingaggiato Jim Grandholm.

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JEFF WILKINS A RIETI
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