Asteo Giancarlo
Nazione: Italia
Reatino: No
 

Giancarlo Asteo era un uomo straordinario che prima di dedicarsi definitivamente al basket aveva lavorato in una casa di produzione cinematografica che, ad esempio, tra i suoi film più importanti annoverava Il giorno della civetta di Damiano Damiani.
Romano verace, allievo della scuola romana di Francesco Ferrero e della palestra del Muro Torto, era un ex giocatore della Ginnastica Roma e della AS Roma. Aveva anche indossato sei volte la maglia della nazionale. Da sempre allenatore della Lazio, forgiatore di quasi tutti i talenti usciti dalla capitale in quegli anni (Marco Ricci. Andrea Gilardi, Gianni Tassi, Stefano Sbarra, Nevio Ciaralli e tanti altri), Asteo era uno che sapeva sfruttare al meglio le risorse umane a disposizione. Dopo otto stagioni alla Lazio aveva allenato per due anni a Forlì, dove purtroppo dovette abbandonare il lavoro a metà a causa di una grave forma tumorale. Nel 1985 Asteo parve ristabilito e pronto a rigettarsi nella mischia. Italo Di Fazi e il presidente Otello Rinaldi lo convinsero che venire ad allenare a Rieti, a due passi da casa, fosse un impegno sopportabile anche per il suo stato di salute e Asteo accettò di buon grado: lontano dal parquet si sentiva finito.
Era un personaggio dotato di una splendida umanità, schietto, sempre pronto alla battuta, ovviamente in romanesco. Una volta, durante una partita combattutissima da cui non si riusciva a venirne fuori, Rinaldi si alzò dalla sua poltrona, fece il giro del campo e si avvicinò alla panchina. Asteo, vicino al suo assistente Gigi Simeoni, lo vide arrivare ed esclamò: «A presidè, qua già nun ce stamo a capì gnente ‘n due, mò ce mancava pure lei!».
L’allenatore romano era un grande insegnante di fondamentali nonché un teorico del passing game grazie al quale, partendo da una solidissima impostazione difensiva, lasciava spazio in attacco all’inventiva dei giocatori. Detto così sembra facile, ma nella realtà Asteo voleva dai suoi giocatori un impegno costante e un lavoro certosino sulla tecnica individuale. «Era un allenatore eccezionale – racconta Sergio Giovannelli – come uomo era di una simpatia unica, ma come allenatore ti faceva lavorare come uno schiavo. Però lo facevi con piacere perché, divertendoti, imparavi sempre qualcosa di nuovo».
Una filosofia del genere poteva conciliarsi con quella solo offensivistica di Joe Jelly Bean Bryant che considerava la difesa una noiosa parentesi del gioco in attesa di andare di nuovo in attacco? Asteo a volte diventava pazzo, ma Joe non se la prendeva e, a suon di canestri, metteva tutti d’accordo. Ma quando Bryant andava per l’ennesima volta fuori dagli schemi per improvvisare personalissime soluzioni di tiro, allora puntuale il coach romano allargava le braccia rassegnato esclamando: «Eccolo là, gli è ripijato n’antro attacco de negrite!». Naturalmente senza alcun sottinteso razzista.
Asteo fu l’uomo giusto per Rieti in quegli anni: nel 1985/86, guidò la Ippodromi d’Italia, costruita attorno a Bryant, Woods, Tolotti, Sanesi, Luca Colantoni e Scarnati che sfiorò la promozione in serie A1.
L’anno successivo, dopo che Bryant e Tolotti furono immolati per salvare il bilancio societario (vennero ceduti a Reggio Calabria per quasi un miliardo di lire) il tecnico romano non si perse d’animo e si arrangiò con quello che era rimasto: una squadra, giovanissima, sponsorizzata Corsa Tris, a cui si era aggiunto Riccardo Esposito, e che doveva maturare rapidamente nonostante le follie di Rudy Woods e l’inesperienza di Lemone Lampley.
Purtroppo la salute di Asteo tornò a peggiorare ma l’eroico coach romano non saltava mai un allenamento. Gli costava grande fatica, però in quelle due ore riusciva a trovare le necessarie energie e il dolore scompariva come per incanto grazie alla convinzione che il tempo trascorso in palestra lo aiutasse a vivere portandolo ancora al Palasport dove ogni allenamento diventava per i giocatori una grande lezione di sport. E soprattutto di vita. Asteo comunque non perdeva mai il buonumore anche per tenere alto il morale di una squadra che sapeva essere giovanissima e quindi fragile.
Una volta, durante un allenamento, un lungo continuava a sbagliare i movimenti sul contropiede finché il coach sbottò: «Stop, fermi tutti! E mmò basta! V’o dico pè ll’urtima vorta. Er playmaker còre ar centro, la guardia còre sulla destra, l’ala còre sulla sinistra… e er rincojonito deve tajà in mezzo! Chiaro?» concluse guardando il colpevole che si era beccato un nuovo soprannome.
In un’altra occasione Sergio Giovanelli, da poco fidanzato con una ragazza la cui famiglia possedeva una pasticceria, era distratto e correva poco. Prontamente Asteo lo strigliò: «A Giovannè, ma quanti bignè te sei magnati oggi?».
E ancora: Lampley era un’ala-pivot dotata di grande elevazione ma dalla tecnica rudimentale. Una specie di Lee Johnson, ma non così forte. Il suo miglior movimento era la sospensione in avvitamento da qualsiasi punto del campo si trovasse finchè un giorno, improvvisamente, nel corso di un allenamento sfoderò uno splendido canestro dopo un scivolamento sulla linea di fondo. Puntuale Asteo commentò: «Anvédi lo scienziato che movimento!». Merito anche degli insegnamenti del coach se Lampley, che poi giocò anche 3 stagioni a Siena, arrivò a disputare una semifinale scudetto con Trieste.
Il problema principale però era Rudy Woods, che a un certo punto si era messo in testa di tirare dai 6.25, soprattutto perché così si prendevano meno colpi sotto canestro e si assorbivano meglio i postumi dei bagordi a cui non sapeva proprio rinunciare. Senza contare che le sue percentuali nel tiro da tre erano scarsissime. Insomma un problema in più per Asteo che, dopo l’ennesima sconfitta, rimproverò il pivot: «A Rudy, e tu nun poi annà a tirà dda tre, perché poi a rimbarzo chi cce và? Pedretti?».
Woods cercò di difendersi: «Coach, io ala».
«Sì, dde pollo!» ribatté Asteo.
Dopo 8 giornate la Corsa Tris era ancora a zero punti e Woods era diventato una vera palla al piede. Andava tagliato. Operazione che all’epoca era ammessa solo per motivi medici. Per questo motivo Di Fazi fece un salto in infermeria a parlare con Pasqualino Berton.
«Pasqualì, come facemo co’ ‘istu? Se non ce lu leàmu ‘dda tornu non ce potèmo sarvà».
«E come facémo?» replicò il massaggiatore.
«’Ngèssalu!» suggerì il Gm.
Ma Berton era titubante: «Italo, Rudy non ce tè còsa!».
«’Ngéssalu, mannaggia la matìna! ‘Ngessalu!» ordinò categorico Di Fazi.
Siccome Woods soffriva per un’infiammazione a un tendine di achille, Berton lo fece venire la mattina dopo in ospedale per ingessarlo, spiegandogli che altrimenti la caviglia non sarebbe mai guarita. Probabilmente Woods capì di cosa si trattava. Fatte due chiacchiere col suo procuratore e ancora col giocatore stesso, si fece una transazione. Rudy fu portato al reparto ortopedia dove il buon Pasqualino lo ingessò alla caviglia più malandata. Il referto medico da spedire a Bologna in Lega era già pronto. Si poteva procedere al taglio.
Al posto di Woods arrivò Michael Payne, 3^ scelta degli Houston Rockets nel 1985, da Iowa, nero, ala piccola di 2 metri scarsi che poteva giocare anche guardia. L’anno precedente aveva trascinato Cholet (Francia) in A1. Altruista malgrado l’ottimo tiro da 3, difendeva bene ed era anche un bel ragazzo. Fece strage di cuori malgrado la sua bella fidanzata bianca lo marcasse assai stretto. Payne esordì a Mestre, alla 9^ giornata, per l’ennesima sconfitta di Rieti, e la domenica successiva era in arrivo a Rieti la Benetton Treviso.
Per la Corsa Tris la sfida contro i veneti era l’ultima spiaggia ma vendette cara la pelle. L’arbitraggio non fu dei migliori e il pubblico si scaldò. Lampley (30 punti) duellò alla grande contro Audie Norris. Payne resse bene contro il pelato Ken Perry. Sanesi (25) e Scarnati (15) giocarono alla pari contro Paolo Gracis e Massimo Jacopini. Si andò al supplementare. Entrambe le squadre erano falcidiate dai falli. Il tifo era alle stelle anche perché negli ultimi tre minuti Rieti, a causa dei falli, fu costretta a giocare con Sanesi, Lampley, Torda, Giovannelli, e Ciccotti, contro Minto, Perry, Gracis, Jacopini e Vazzoler. Nel finale venne buttato in campo anche Fabio Orlandi.
Proprio sull’ultima azione di gioco, a un paio di secondi dal termine, con la Corsa Tris in vantaggio 89-87, il simpatico Fabietto (1.83) stava marcando Jacopini (2.00) che si liberò di lui con una gomitata. L’arbitro ovviamente punì il più giovane e inesperto Orlandi che, un po’ per la gomitata e un po’ perché quel fallo avrebbe potuto dare il pareggio a Treviso, trattenne a stento le lacrime. Ma Jacopini, dopo aver segnato il primo libero a disposizione, sbagliò il secondo e contro ogni logica fu la Corsa Tris a vincere quella sfida impossibile per 89-88.
Il dopo partita fu concitatissimo: un tifoso reatino purtroppo riuscì a colpire un arbitro per cui il Palaloniano sarebbe stato sicuramente squalificato. I trevigiani erano furiosi e si lamentavano con gli arbitri accusandoli di essersi fatti intimidire nelle battute finali della gara. Jacopini era fuori di sé per il tiro libero fallito e prese a calci tutto quello che trovava alla sua portata. Qualcuno però zittì i trevigiani invitandoli a recitare il mea culpa facendo notare che avevano perso contro una squadra di ragazzini. Nello spogliatoio Asteo andò subito a consolare Orlandi che sull’azione di Jacopini aveva solo scontato il noviziato. Intanto la Corsa Tris aveva rotto il ghiaccio e tornava a sperare.
La squadra vinse 2 partite su 4 e poi premiò gli sforzi e le sofferenze del suo allenatore disputando una partita gioiello a Reggio Calabria, guidata dagli ex Bryant e Tolotti, vincendo 91-100 grazie a 35 punti di Payne, 24 di Lampley, 18 di Sanesi e 15 di Colantoni. Purtroppo la gioia per la vittoria durò poche ore: quella fu l’ultima partita di Asteo, nuovamente ricoverato in ospedale per un improvviso aggravamento della malattia. Il coach però non perse mai il suo grande spirito: quando una suora entrò nella sua stanza d’ospedale con dei santini in mano, il coach riuscì ancora a trovare la forza d’animo di scherzare su se stesso dicendo: «Sorella, mi dia tutto il mazzo, che uno solo non mi basta».
Il 17 dicembre, giorno in cui si disputava a Roma l’All Star Game, Giancarlo Asteo scomparve. Esattamente un anno prima era stato lui a dirigere la rappresentativa dell’A2 con Joe Bryant in campo. Rieti non lo dimenticherà mai. Relativamente al periodo 1973-1988, è stato l’allenatore più amato da Rieti insieme a Lombardi e Pentassuglia.

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GIANCARLO ASTEO
IL CORAGGIO DI GIANCARLO ASTEO
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