Campionati
 
1987 / 1988

L’ultima stagione in serie A per Rieti iniziò praticamente subito dopo la fine dell’incontro vittorioso su Reggio Calabria durante la quale, un riconoscente Bryant, non aveva infierito sulla squadra e sul coach che lo avevano lanciato in Italia.
Terminata la partita, baci e abbracci tra Joe e i reatini e, ovviamente, anche con Messina a cui confidò di essersi trovato benissimo a Reggio Calabria ma che avrebbe preferito risalire al nord. La città era stupenda, la gente calorosa, ma si sentiva troppo fuori mano. Dalle trasferte, si lamentava Bryant, si tornava quasi sempre di lunedì e nei giorni di riposo dopo le gare casalinghe non si poteva andare da nessuna parte, come ad esempio era possibile a Rieti, da dove con meno di un’ora d’auto si poteva andare a Roma.
Messina recepì il messaggio e, dal momento che aveva vinto 7 delle 11 partite giocate dopo il suo arrivo, si sentiva la riconferma in tasca per cui, non volendo disputare una nuova stagione calvario, fece una mezza promessa a Bryant di richiamarlo a Rieti.
Ma il presidente Rinaldi pensando di evitare altre sofferenze  intendeva programmare la stagione con calma, senza improvvisazione. Per cui come primo passo ingaggiò un nuovo general manager cui delegare la riorganizzazione dell’intero settore tecnico della società.
La scelta cadde su Giuseppe Varrasi, ex direttore dell’Ufficio delle Imposte Dirette di Firenze, nonché apprezzato artefice, nel 1985, del ritorno del capoluogo toscano in serie A dopo le prime sfortunate esperienze del 1976/77 e 1982/83.
La notizia gelò il sangue a Messina che aveva allenato Firenze nel 1982/83, dove però non aveva avuto un buon rapporto con Varrasi. Infatti, in men che non si dica, il Tigre non fu più il tecnico della Sebastiani.
Proprio così: di nuovo Sebastiani perché erano venuti meno anche i presupposti per rinnovare il legame di sponsorizzazione con l’ippica.
Venne scelto il nuovo allenatore, Waldi Medeot, iI cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori.
Capitolo stranieri. Lemone Lampley sentì il richiamo dell’NBA e per coprire il buco venne fatto venire in prova Winston Crite: un’ala-pivot di poco più di 2 metri, fisico compatto come un frigorifero, che però, dal giorno alla notte, sparì dall’albergo in cui era alloggiato. Riapparve l’anno successivo nell’NBA per un paio di stagioni con i Phoenix Suns. Dopo questo buco nell’acqua, dai contatti con gli agenti statunitensi spuntò il nome che sembrava essere quello giusto: Jeff Wilkins, iI cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri.
Scaduto il prestito, i romani Scarnati, Esposito e Brunetti, partirono da Rieti come pure Torda e Cafarelli, quest’ultimo mai recuperato in pieno dopo l’infortunio al ginocchio. Manco a dirlo Sanesi venne riconfermato insieme a Stefano Colantoni, protagonista di un bel girone di ritorno con la Corsa Tris a 12.6 punti a partita, 5° scorer della squadra con buone medie al tiro da 3 e una valida mano in regia. Anche tutti gli altri giocatori, o per fine prestito, o per altri motivi, andarono via.
Rimanendo in tema di reatini, Luca Colantoni dopo la brillante promozione in A2 di Montecatini, fu prontamente richiamato. In più Alessandro Cavoli, scuola Minervini, ritornò a Rieti dopo un paio di stagioni di prestito alla Fortitudo Bologna.
Il quintetto base fu completato con l’innesto di due affidabili veterani della serie A: l’ala Giorgio Ottaviani, bel tiratore da 3, e il guizzante playmaker casertano Sergio Mastroianni, cresciuto all’ombra di sua maestà Nando Gentile. Velocissimo, gambe al fulmicotone,era capace di schiacciare malgrado fosse alto poco più di 1.80, valido tiro da 3. Stefano Colantoni, che dopo il buon fine stagione precedente pensava di essere il numero due in regia, ci rimase assai male sentendosi accantonato. La sua stagione sarebbe stata in sordina e quando servì il suo apporto non fu al meglio della condizione.
Infine a Foligno venne pescato Lucio Natalini, il cui fratello Roberto giocò alcune buone stagioni a Cantù per poi trasferirsi in pianta stabile a Bergamo. Lucio era forte atleticamente, saltava molto, la tecnica però era da migliorare.
A quel punto, per scegliere il secondo straniero, ritornò a galla l’idea di richiamare Joe Bryant, non fosse altro che per gratitudine per quel Corsa Tris–Reggio Calabria dell’ultima di ritorno in cui Bryant col pallone non avrebbe centrato l’oceano da un canotto.
Si dice che Varrasi abbia commentato così quell’idea: «Joe Bryant? Mica siamo al circo!». Sarà anche vero, ma con Joe si partiva da +35 e difficilmente la squadra sarebbe retrocessa. In ogni caso Rinaldi non se la sentì di smentire il suo Gm appena ingaggiato.
Fu così che arrivò il veterano Kevin Restani, iI cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori.
Iniziato il precampionato, i tifosi affollavano il Palaloniano sperando di vedere in Wilkins il nuovo Sojourner. Ma Jeff trotterellava, giochicchiava, ogni tanto faceva vedere che sapeva giocare a basket ma niente di più. C’era qualche perplessità. Si pensava che, essendo un ex pro, sapesse lui come gestirsi. Ma le cose non miglioravano. Fu pregato Restani, che parlava anche un ottimo italiano, di cercare di capire cosa stesse succedendo. Ma per Jeff era «tutto ok» anche se i dubbi crescevano.
Per questo motivo la società meditò immediatamente di tagliarlo e fece venire in prova Donald Reese, non fosse altro che per sperare di scuotere l’abulico Wilkins. Ma il nuovo arrivato si rivelò più un’ala che un centro e fu subito scartato e mandato in prova a Firenze, che militava in A1. Per andare in Toscana Reese doveva partire in treno da Roma verso le 15. Il giocatore fu accompagnato con anticipo nella capitale da un dirigente che vi doveva sbrigare in mattinata alcune altre faccende.
Fatte tutte le commissioni c’era ancora un po’ di tempo per mangiare. Siccome Reese voleva vedere qualcosa di Roma, fu accompagnato in pieno centro, a Piazza di Spagna. Passeggiando per via Condotti, Reese si fermò di fronte alla vetrina del gioielliere Bulgari e disse di voler acquistare un orologio. Seppur stupito l’accompagnatore fece entrare il giocatore nel negozio dove i due furono accolti da un elegantissimo commesso in giacca e cravatta. Dopo aver spiegato che Reese voleva vedere degli orologi, la coppia fu fatta accomodare in un accogliente salottino dove, pochi attimi dopo, si materializzò una guardia giurata che aprì una valigetta, dopo essersi liberato della catenella che gliela legava al polso: all’interno c’erano sei splendidi e costosissimi orologi d’oro marchiati Bulgari.
Mentre il commesso stava decantando i preziosi orologi della premiata ditta Bulgari, Reese alzò gli occhi e chiese: «Vorrei vedere dei Rolex». In meno di dieci secondi gli orologi erano già tornati nella valigetta mentre i due malcapitati clienti furono cortesemente ma decisamente invitati a uscire dal negozio.
Per la cronaca Reese firmò a Firenze e disputò una discreta stagione.
L’inizio di campionato fu disastroso, dopo tre sconfitte consecutive per Wilkins tirava già aria di taglio Wilkins, che era già la pietra dello scandalo: lento, abulico, improduttivo. Venne strigliato a dovere e lui, sentendo odore di taglio, sfoderò a Cremona un 10/10 al tiro per 32 punti complessivi, mettendosi in tasca il non trascendentale pivot avversario, Phil Zevenbergen, che con quel nome sembrava più un formaggio svizzero che un giocatore di basket, e trascinò la Sebastiani, ancora senza sponsor, alla vittoria per 67-85. Il peggio era passato? Neanche per idea.
Wilkins ripiombò nell’anonimato insieme a tutta la squadra. Dopo l’imbarazzante sconfitta in casa 77-97 con la Sangiorgese dell’ex Wayne Sappleton, ci fu una riunione tra squadra e staff tecnico per capire cosa c’era che non andava. A turno parlarono tutti. Arrivò anche il momento di Jeff che disse: «Ci sono due squadre in campo, qualcuno dovrà pur perdere!».
Mentre si cercava un sostituto per Wilikins si andò a giocare a Forlì. Dove si perse 89-87. Cioè per 2 soli punti, appena 2 tiri liberi. Quelli assegnati dagli arbitri per un fallo tecnico fischiato a Medeot per aver sentito partire un vaffa… dalla direzione della panchina della Sebastiani. Peccato che si trattasse soltanto di un tifoso reatino seduto in tribuna dietro la panchina. Una svista clamorosa, ma la stagione sarebbe stata costellata di tanti piccoli, ma decisivi, episodi negativi del genere.
Finalmente arrivò il sostituto di Wilkins: Jim Grandholm, iI cui profilo è nelle sezioni Personaggi e Giocatori Stranieri.
GRandholm esordì a Rieti contro Montecatini segnando 17 punti come Restani ma il top-scorer fu Mastroianni con 22. Il che non evitò un’altra sonora sconfitta (80-97). Era la settima per Waldi Medeot che non pareva in grado di poter scuotere a dovere la squadra. Il suo esonero era nell’aria.
Rinaldi decise di richiamare per la terza volta nella storia di Rieti Nico Messina. Del resto nelle altre due occasioni era sempre andata bene. Il Gm Varrasi, visti i precedenti fiorentini col Tigre, non condivise la decisione del presidente e signorilmente rassegnò le dimissioni.
Durò quindi solo pochi mesi l’avventura a Rieti del dirigente giunto con la convinzione di poter fare altrettanto bene come a Firenze, pur senza conoscere la mentalità dell’ambiente in cui era andato a lavorare. Oltre alla sostanza Varrasi aveva cercato anche di modificare la forma, ad esempio provando ad organizzare una sala stampa vera e propria nel palasport, che ancora nel 2006 non esisteva, o progettando una suddivisione in settori dei posti del Palaloniano, come avviene negli impianti più importanti, che fu bocciata purtroppo dalla commissione di vigilanza. Varrasi ebbe queste e altre interessanti idee. Purtroppo non approfittò a tempo debito del sicuro salvagente costituito dalla possibilità di richiamare Joe Bryant a Rieti.
Fu così richiamato per la terza volta Nico Messina, il quale dette subito una scossa alla squadra la cui classifica, prima dell’ultima di andata, partendo dal basso era la seguente Rimini 4: Mestre 8; Dentigomma, Sangiorgese, Gorizia e Cremona 10. Retrocedevano solo 2 squadre: l’impresa della salvezza pareva abbordabile.
Per l’ultima di andata a Rieti era in arrivo Rimini, dove giocava l’ex Maurizio Ferro. I romagnoli dopo aver tagliato gli inconsistenti Hoppen e Zizic a favore dei più concreti Mark Smith e Andrè Goode avevano pure esonerato Claudio Vandoni, già coach dell’Acqua Fabia, a favore di un altro ex tecnico reatino: John Mc Millen. I risultati però non parevano aver premiato questa rivoluzione. Perdendo a Rieti, Rimini sarebbe stata praticamente già condannata e sarebbe rimasto un solo posto per la retrocessione. La Dentigomma, che aveva vinto 4 delle ultime 7 partite, avrebbe dovuto farcela agevolmente.
Era il 30 Dicembre: al Palaloniano si respirava aria di relax. «Sbrighiamo questa faccenda e poi ce ne andiamo a festeggiare il capodanno» sembravano far capire durante il riscaldamento gli uomini di Messina, che percepì un approccio errato alla gara. Il campo lo avrebbe confermato. Rimini non aveva più niente da perdere e giocò molto bene, la Dentigomma invece non entrò mai in partita. Solo Ottaviani (25) fu all’altezza della situazione. Rieti perse 67-83 e cominciarono i guai.
La Sebastiani, che grazie all’intercessione del presidente della Lega Basket, Gianni De Michelis, era diventata Dentigomma, perse altre due partite, di cui una in casa con Pescara, poi ne vinse altre due sempre in casa e poi arrivarono due rocambolesche sconfitte.
La trasferta a Porto S. Giorgio pareva abbordabile. Ad incontro iniziato entrarono in ritardo nel palasport marchigiano 50 tifosi reatini arrivati in pullman. La polizia li aveva trattenuti a lungo fuori dall’impianto per dei controlli. Il solito genio di turno ingannò, male, il tempo disegnando delle scritte con la vernice spray sui bianchi muri esterni del palasport. Ovviamente qualcuno se ne accorse e scoppiò il primo putiferio. Durante il match l’atmosfera si surriscaldò.
Si andò avanti punto a punto fino alla fine. A 7 secondi dal termine la Sangiorgese conduceva 84-82. In campo c’erano Restani, Grandholm, Sanesi, Mastroianni e Natalini. Ottaviani, che aveva segnato 21 punti, era in panchina con 4 falli a carico. Messina chiamò time out. Tutti pensarono: «adesso rientra Ottaviani per l’ultimo tiro». Ma al ritorno in campo il giocatore era ancora in panchina. I tifosi reatini si misero le mani tra i capelli. Giulio Melilla, guarda un po’ chi si rivede, tecnico della Sangiorgese, ordinò difesa spietata su tutti e di battezzare Natalini. Il gioco riprese. Ovviamente la palla finì in mano al povero Lucio, smarcato a quattro metri dal canestro. Ormai era lui che doveva tirare ma la palla si stampò sul ferro.
Ma non era ancora finita. I tifosi marchigiani decisero di vendicare l’onta dello spray assediando i supporters reatini, rifugiatisi in un angolo in alto del palasport, protetti da un cordone di poliziotti. Partì verso di loro una fitta sassaiola all’interno dell’impianto. Altri marchigiani ruppero i vetri degli autobus della squadra, dei tifosi sabini e di qualche auto targata Rieti, compresa quella della fidanzata di Wayne Sappleton, reatina anch’essa. La caccia all’uomo proseguì per circa un’ora prima che si potesse ripartire. Era fine gennaio: il termometro segnava sotto zero e con i vetri rotti non fu un bel viaggio di ritorno.
Al Palaloniano era il turno di Forlì. La Dentigomma giocò bene ma i romagnoli rimontarono. A 20 secondi dalla fine Rieti conduceva 87-84. Sembrava ormai fatta. La Dentigomma sbagliò un tiro. Forlì partì subito in contropiede: Bobby Cattage era lanciato verso il canestro. Restani provò a inseguirlo. Cattage tirò e segnò. L’arbitro Nunzio Guglielmo, appostato male, credette che Restani avesse commesso fallo e fischiò. Kevin, noto per la sua correttezza ed educazione, che invece era lontano almeno mezzo metro, accennò una protesta e poi imprecò in inglese contro la malasorte. Guglielmo, che ovviamente aveva studiato ad Harvard e capiva tutte le sfumature dell’inglese, pensò di essere stato insultato e gli fischiò un fallo tecnico. Che era anche il quinto.
Totale: un tiro libero per il presunto fallo su Cattage, più due per il fallo tecnico, più i due punti del canestro realizzato. Tutti i liberi andarono a segno. Forlì realizzò 5 punti passando avanti 87-89 a tre secondi dalla sirena. Purtroppo il tiro disperato per agguantare l’overtime non riuscì a Sanesi. Come all’andata, ancora una volta la partita venne decisa da un balordo fallo tecnico.
La Dentigomma era ormai sotto choc, perse altre partite fu riagganciata in coda alla classifica da Mestre e da Rimini, letteralmente resuscitata dopo la vittoria a Rieti. La situazione era drammatica: Messina si dimise. Al terzo tentativo questa volta aveva fallito. A sole sei giornate dalla fine la squadra venne affidata al tandem Sandro Cordoni – Gigi Simeoni che coraggiosamente accettarono.
Un altro cattivo presagio che le cose sarebbero andate storte fu il forzato ritiro per motivi di salute, a poche giornate dalla fine del campionato, da parte del massaggiatore Pasqualino Berton: figura storica della società sin ai tempi della promozione in serie A. Sotto le sue sapienti mani erano passati tutti i giocatori della Sebastiani. Il suo profilo è nella sezione Personaggi.
La coppia Simeoni-Cordoni vinse la partita interna con Udine e poi si andò a Pistoia, da Joe Bryant. Inizialmente le cose si misero bene. Al riposo Sanesi e compagni erano avanti di 16 punti e Bryant stava giocando male. Ma quando il gioco riprese Joe, passando davanti alla panchina di Rieti, con le mani finse di estrarre le pistole e sparare esclamando: «Bang! You’re dead!». Siete morti. Bryant iniziò lo show e nessuno poté fermarlo. Segnò i soliti 40 punti. Se aveva qualche ragione per cui vendicarsi l’aveva fatto in pieno: 99-86 per Pistoia.
Per la penultima gara, al Palaloniano era in arrivo Reggio Emilia che a fine campionato sarebbe andata in A1. Fu una partita da ultima spiaggia. La società distribuì biglietti nelle scuole, i prezzi vennero ribassati, fu fatta una forte propaganda per questa sfida per la vita o per la morte. Il momento era gravissimo e il pubblico rispose a dovere: quasi 3000 spettatori assistettero a quella che avrebbe potuto essere l’ultima partita di serie A per Rieti dopo 15 anni.
Si giocò in un clima infuocato. Gli arbitri ne risentirono. Gli ospiti ovviamente protestarono. Andiamo subito alla fine. A pochi secondi dal termine Reggio conduceva 88-89. Sembrava di stare al Colosseo. Palla a Sanesi che fino a quel momento aveva segnato un solo punto. Padella si buttò dentro l’area e subì un fallo. Suonò la sirena. Erano due tiri liberi a tempo scaduto. Piero Pasini, tecnico degli emiliani, non era d’accordo. Gianfranco fece 2/2 e Rieti vinse. Tutto fu rimandato all’ultima giornata a Rimini. Lo year-book stampato da Reggio Emilia per celebrare la promozione in serie A1 definì quella partita come una pagina nera del basket italiano.
Prima dell’ultima giornata la classifica era la seguente: Mestre 16, già retrocessa; Cremona e Rieti 20; Sangiorgese, Pescara, Rimini e Gorizia 22. 6 squadre per un posto in B1.
La domenica successiva sarebbero iniziati immediatamente i playout per designare la terza squadra promossa in A1 (le prime 2, Reggio Emilia e Yoga Bologna, accedevano direttamente ai playoff per lo scudetto). Se la Dentigomma e Cremona avessero vinto, o anche una sola delle due, in base agli altri risultati possibili si sarebbe creata comunque una situazione di parità tra almeno 4 o 5 squadre che avrebbero dovuto disputare degli spareggi giocando 3 o 4 gare in altrettanti giorni nel corso di un concentramento unico in campo neutro da effettuarsi obbligatoriamente durante la settimana per non ritardare l’inizio dei playout. Era una situazione da fantascienza ma la Lega aveva già preparato l’eventuale calendario degli spareggi.
Il 2 Aprile 1988 partirono per Rimini in autobus i soliti 50 ultras mentre molti reatini arrivarono in auto. La gara si disputò di sabato e venne trasmessa dalla Rai. Quella televisione che molti superstiziosi non avevano mai amato.
La Dentigomma iniziò molto bene e prese subito in mano le redini dell’incontro. A 6’ dal termine, trascinata come all’andata da un grande Ottaviani (25), Rieti era avanti di 9 punti. Ma poco dopo iniziò il dramma.
Mark Smith, in entrata, sfondò su Mastroianni che stava giocando molto bene, e gli spaccò un sopracciglio. Rivisto più volte al videotape è confermato che si trattava di uno sfondamento. Ma gli arbitri fischiarono fallo a Mastroianni. Per Sergio era il quarto fallo (avrebbe potuto essere invece il quarto di Smith) e dovette uscire per farsi medicare. Venne sostituito da Stefano Colantoni che non era al massimo della forma. Rimini iniziò a rimontare. Mastroianni, ricucito alla meglio, rientrò, ma era frastornato e poco dopo commise il quinto fallo. Avrebbe dovuto essere il quarto.
Rimini era alle calcagna, ma Rieti resisteva. A 34 secondi dalla sirena la Dentigomma era ancora in vantaggio 82-83 e aveva la palla in mano. Nella peggiore delle ipotesi si sarebbero potuti far scorrere tutti e 30 i secondi senza tirare per far rimettere Rimini dalla propria metà campo, giocandosi tutto con una grande difesa negli ultimi 4”.
Rieti attaccava, la palla scottava. Grandholm ricevette il pallone molto dietro la linea dei 6.25: era pressato, non vedeva il cronometro dei 30 e non sapeva quanto mancava al termine dell’azione. In realtà restavano ancora 8” alla fine della partita. Jim sparò una tripla tutta sbilanciata. Errore. Colmo della sfortuna, il rimbalzo fu molto lungo e cadde nelle mani di Maurizio Ferro che si trova già tra la lunetta e il cerchio della metà campo. Mancavano 3-4 secondi.
L’ex Binova e Cottorella, ceduto proprio a Rimini nel 1984, partì in contropiede mangiando gli ultimi metri di parquet. Non c’era tempo per arrivare dentro l’area dei 3 secondi. Ferro anticipò il terzo tempo, fece l’ultimo passo poco prima lunetta e tirò da posizione frontale. Chi conosceva bene Maurizio e l’aveva visto spesso allenarsi sapeva che il giocatore romagnolo aveva quel tiro nel suo repertorio e cominciò a sudare freddo. La palla era in aria, gli attimi passavano. Tutti seguivano la parabola. Le emozioni erano le più disparate. Il pallone urtò sul canestro, ci danzò un po’ sopra e poi entrò. Suonò la sirena. Rimini vinse 84-83. Squadra e tifosi reatini erano prostrati. Cordoni e Simeoni non ce l’avevano fatta a compiere il miracolo per solo mezzo canestro.
I reatini guardavano il tabellone che segnava impietoso il punteggio finale e non credevano ai propri occhi. Rieti aveva quasi tutti e due i piedi nella fossa della serie B1. Infatti, avendo anticipato al sabato, c’era ancora una flebile speranza. La domenica Forlì doveva andare a Cremona. Se i romagnoli avessero vinto si sarebbe dovuto disputare uno spareggio per la salvezza con i lombardi. Ma nessuno ci sperava. Anche perché proprio quel sabato il forlivese John Ebeling fece una scorpacciata di fragole, beccandosi una intossicazione e non poté quindi giocare..
Ovviamente vinse Cremona, spareggio evitato e per Rieti fu l’addio definitivo alla serie A.
Qualche settimana dopo ci fu ancora un’appendice. Arese, appena promossa in A2, non aveva un impianto idoneo alla massima serie. Rieti inoltrò un reclamo, seguito da un ricorso in Federazione, per cercare di strappare un ripescaggio che però non sortì alcun effetto. Ma nessuno ci aveva mai sperato.

E' possibile vedere il filmato del canestro di Maurizio Ferro al seguente indirizzo. La qualità non è eccelsa ma, seguendo la nostra descrizione e rivedendolo qualche volta, si possono ricostruire tutte le fasi dell'azione.

http://www.youtube.com/watch?v=MBnqqftj3Fc

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2 Aprile 1988. BIKLIM RIMINI - DENTIGOMMA RIETI: L'ADDIO ALLA SERIE A2
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